Cosa è “significato”. Come, quando e dove il significato emerge nell’interazione è tema cruciale e complesso. Fin dai primi anni ottanta, a partire dalla falsificazione della metapsicologia freudiana, era possibile rendersi conto delle aporie della concezione classica del significato e della debolezza del “teorema conoscitivo” (significato inconscio ➣interpretazione ➣ insight). In assenza di un solido panorama teorico alternativo era invece assai difficile delineare una differente e innovativa impostazione del problema.
Fu a partire dall’autunno del 2009 e, successivamente, negli ultimi anni di attività del Laboratorio di Brescia che, il tema del significato e dei “livelli di emergenza del significato” divenne oggetto di studio e di riflessione come sviluppo, quasi spontaneo, della ricerca compiuta nell’arco di venti anni che, partendo dalle macerie della metapsicologia, giunse a poter affrontare, in termini nuovi, i temi dell’inconscio, della coscienza e dell’intenzionalità inconscia. Già in quel contesto nacque l’idea di costruire una griglia o tabella, che potesse fungere, da interfaccia tra la teoria e la clinica, come strumento operativo per il terapeuta sia in seduta (una specie di mappa o di bussola), sia nell’analisi a tavolino della seduta o del caso (per esempio, quando si desideri “fare il punto”).
Ho sintetizzato le linee essenziali e le risultanze di questo lavoro ventennale in La mente del corpo, (2015), cui devo rimandare per la prospettiva teorica generale e per l’ossatura teorico-concettuale che consente di affrontare in modo nuovo la problematica del significato. In quel lavoro il tema del significato non viene affrontato direttamente, ma è presente tra le righe nel disegno della prospettiva generale e dell’ossatura teorico-concettuale che consente di impostarne la problematica in modo alternativo rispetto alle concezioni tradizionali. Su questo tema (e su quello strettamente connesso del concetto di vincolo) lavora, invece, da qualche anno il Laboratorio di Verona. In un testo dal titolo “Sul significato”, postato in quattro parti in questo blog, si può trovare una introduzione generale al problema del significato e, in un ulteriore testo, anche una introduzione al concetto di vincolo, che per molti versi èl’altra faccia del significato.
In queste pagine mi riprometto di affrontare, invece, specificamente il tema dei livelli di emergenza del significato in vista dell’obiettivo di disegnare più avanti anche una sintetica e chiara tabella operativa.
1. ASSUNTI GENERALI
Prima di giungere a descrivere i livelli di emergenza del significato, è necessario precisare l’assunto generale di partenza, che pone l’interazione tra T(erapista) e P(aziente), come oggetto formale della disciplina.
Una psicoterapia - una seduta, una serie di sedute, una intera terapia, - non è l’azione lineare di un soggetto T su un oggetto P, come voleva l’impostazione oggettualista freudiana, ma è un flusso di interazioni e narrazioni in cui un-soggetto-osservato-osserva-un-soggetto-osservato-che-osserva. Da questo punto di vista il significato non può essere inteso come qualcosa che esiste in sé "a prescindere", nel modo in cui, per esempio, lo considerava Freud quando si riferiva al significato di un sogno o quando esemplificava con l’analogia archeologica il lavoro di scavo di una terapia. Il significato non è un cioccolatino avvolto dalla carta stagnola delle parole o nascosto nell’oscurità di un non dicibile inconscio, ma emerge e si costruisce nel processo di interazione e narrazione ed è, dunque, funzione, anzitutto, della delimitazione operata dai due interlocutori in questo flusso, cioè del modo in cui ognuno dei partecipanti seleziona le singole “frasi” dell’interazione, circoscrivendola con la sua personale punteggiatura. Ne consegue che la fattibilità stessa di una descrizione dei livelli di emergenza del significato poggia sulla possibilità di identificare i vari livelli di criteri, che governano questa selezione e questa punteggiatura.
Definire una serie di livelli di significato nel flusso delle interazioni e narrazioni non significa però stabilire che nell’evento, nel vissuto o nella “frase interattiva” in esame, ci siano una serie di cassetti virtuali contenenenti ciascuno il “suo”significato risposto ed esistente in sé. Ogni significato implica un contesto. Ogni contesto implica un punto di vista. Ogni punto di vista implica un osservatore che, da quel punto di vista, costruisce il contesto. In questo senso il “significato” è sempre la risposta a una domanda posta da un soggetto, che può essere il soggetto del vissuto e protagonista dell’evento o un ulteriore soggetto che osserva.
Questo assunto generale, che costringe a intendere il significato come emergente nel flusso delle interazioni, ne implica un secondo che riguarda la natura dell’interazione intersoggettiva, in cui occorre distinguere tra “interazione”e “metainterazione”. Per questa basilare distinzione devo rimandare a L’interazione come oggetto formale della psicoanalisi, 2006, (Internet Ed. www.psychomedia.it/pm/indther/psanndx1.htm). Qui sarà sufficiente dire che la distinzione tra autonomia ed eteronomia e le caratteristiche della soggettualità umana, rendono necessario distinguere in ogni transazione terapeutica, due differenti posizioni e punti di vista, che delimitano due distinti domini e due differenti campi di variabili, che possiamo indicare, provvisoriamente, con i termini interazione e meta-interazione (Scano, 2000, 2006a) o come interazione narrante e interazione narrata (Scano, 2013)
Il punto di vista interattivo e il conseguente dominio dell’interazione, delimitato dal punto di vista, indicano la totalità delle interazioni, che avvengono nella stanza di consultazione, a prescindere da ogni descrizione, racconto e categorizzazione compiute da un osservatore esterno o da ciascuno dei due soggetti narranti.. L’interazione comprende, quindi, sia l’azione di elementari componenti del sistema (come potrebbe essere uno schema neuronale attivato in P o in T) sia l’azione di sottosistemi molari (come per esempio l’intero sistema nervoso di P e di T), sia le azioni del tutto soggettive, intenzionali e volontarie, comprese quelle specificamente adottate come tecniche a un qualunque livello, sino a comprendere l’azione complessiva dei due organismi cioè dei due sottosistemi complessi P e T nella loro globalità, organizzazione e storia. L’interazione assunta a questo livello, indica la totalitàmdei vincoli e delle possibilità del sistema quale deriva dall’interazione di tutti gli elementi del sistema e di ciascuno dei sottosistemi.
Esprimendo la globalità dell’azione del sistema T\P e dei due sottosistemi soggettuali, l’interazione coincide con la natura essenzialmente intersoggettiva della relazione terapeutica ed è espressione dell’autonomia del sistema e dell’autonomia dell’azione dei sottosistemi organismici. Essa non è caratteristica distintiva della situazione e del setting terapeutico, ma è piuttosto la marca distintiva di ogni transazione intersoggettiva, che indica la necessità di includere l’interazione terapeutica nella classe piùampia delle interazioni tra soggetti.
Il Punto di vista meta-interattivo” e “dominio meta-interattivo” indicano, invece, l’attività complessa del sistema T\P come derivante dall’interazione di due organismi soggettuali, che si relazionano, per uno scopo e in un quadro situazionale definito, mediante l’azione di un Io della mente e, dunque, tramite l’azione di una rappresentazione narrata, di contesti, canovacci, mappe, trame e teorie, sulla base di intenzioni, scopi, progetti e di strategie e di giochi adottati per conseguirli. Se l’interazione apparenta la psicoterapia alle altre relazioni umane, facendone un membro della stessa classe, sarà piuttosto la meta-interazione a distinguerla e delimitarla nella sua specificità e a differenziarla dalle altre relazioni umane, grazie all’utilizzazione sistematica e controllata del livello meta-interattivo, nel quadro delle regole vincolanti del setting. Tale livello, in cui si configura la posizione meta-interattiva del terapista, attiene specificamente ai motivi, che hanno determinato l’interazione terapeutica e agli scopi, che essa si ripropone di conseguire (la risoluzione del problema del soggetto\paziente); poggia sulle conoscenze necessarie alla corretta impostazione del problema (competenze teoriche e teorico-cliniche del terapista); si traduce nella progettazione e messa in atto di adeguate strategie tecniche di soluzione e nel controllo dell’andamento del processo di soluzione. In ultima analisi, la meta-interazione coincide con l’ambito tradizionale della tecnica e implica un dislocamento a un livello meta, rispetto all’interazione, una osservazione, un controllo e una direzione da un punto di vista specifico, quello del problema, della sua soluzione e di quanto è necessario operare a questo scopo.
La proprietà fondamentale dell’interazione è che essa avviene e non può essere cancellata o modificata dalla meta-interazione, che la può tradire o falsare, ma non rendere non avvenuta, contemporaneamente, però, essa non può essere colta e raccontata, a se stessi o ad un altro, se non tramite una operazione meta-interattiva. L’elemento essenziale della meta-interazione, invece, è che essa implica sempre e comunque un’interazione nel senso che anche un’interpretazione, al di là del contenuto, interviene nel contesto come azione con suoi propri significati, che non sono necessariamente quelli previsti o voluti dall’intenzionalità dell’interpretante. Di conseguenza nel corso dell’esercizio dell’attività meta-interattiva o tecnica, il terapista, inevitabilmente e di fatto, interagisce e in tal modo puòconfermare o disconfermare le aspettative e i sistemi di attribuzione di significato del paziente, fornendogli, magari, prove ulteriori per le sue teorie proprio mentre si affatica a smontarle o, al contrario, può introdurre efficaci perturbazioni, che potrebbero permettergli di modificarle.
A partire da questo assunto si spiega che, nel redigere la tabella dei livelli di emergenza del significato, ci si rende facilmente conto che essa ha senso soltanto dal punto di vista meta-interattivo, perchè il significato emerge solo da una narrazione, dato che l’interazione in sè non può essere colta e raccontata (a se stessi o a un altro) se non tramite una operazione meta-interattiva. A fronte di ciò, tuttavia, si deve comunque rimarcare che l’effettiva marcatura emozionale (di conferma o disconferma dell’esperienza emozionale attesa) avviene a livello interattivo e non puòessere cancellata o modificata dalla meta-interazione, (che la può tradire o falsare, ma non rendere non avvenuta).
Ciò consente di precisare che nell’impostazione del problema del significato bisogna avere ben chiara la distinzione tra il piano dei processi e il piano delle narrazioni.
Il piano dei processi è il piano effettivamente causativo cioè quello in cui le marcature emozionali effettivamente determinano e legano i vincoli sul piano fattuale. Questo piano non è obbiettivamente raggiungibile in sè. E’, almeno per il momento e allo stato attuale delle conoscenze, una sorta di noumeno, su cui si possono soltanto avanzare congetture e ipotesi. Sul piano generale, è, dunque, il piano delle teorie, mentre sul piano del singolo paziente è il campo delle ipotesi e congetture concrete relative alla formazione degli effettivi vincoli di quel preciso paziente alla luce delle sue concrete narrazioni e degli assunti teorici resi disponibili da quelle teorie;
Il piano delle narrazioni è invece quello in cui effettivamente emergono e possono emergere i significati ed èdunque il piano, sempre meta-interattivo, in cui è possibile interrogarci sui livelli di emergenza del significato.
2. LIVELLI DI EMERGENZA DEL SIGNIFICATO
M è al quarto anno di una terapia, che ha intrapreso per mettere fine all’inconcludenza della sua vita sentimentale e riuscire ad avere un compagno, un figlio, una famiglia. Nella seduta precedente a quella, di cui intendo parlare, è successa una cosa strana: ha preso il solito treno, con cui viene regolarmente in seduta, nella direzione opposta, per cui si è trovata ad andare verso Civitavecchia piuttosto che verso il mio studio - (per la verità, così intese l’evento il T a partire dalla telefonata di M. In realtà M, non prese il treno nella direzione sbagliata ma, semplicemente saltò la fermata e quando se ne accorse vide che stava proseguendo per Civitavecchia!).
M non sa spiegare l’errore, dice che ha pianto su quel treno, rendendosi conto della cosa e rendendosi conto, che “stava male” mentre, da mesi, sottolinea che “sta bene”. Aggiunge che lei sa perché sta male, ma ha fatto un sogno e prima deve raccontarlo. Giovedì è stata a uno spettacolo teatrale incentrato su cinque “donne”, che partecipano alla festa di compleanno di una di loro. Sono tutte sui 35 anni, eccetto una che è sui 27. C’è la bigotta, quella che ha sbagliato “uomo” e sta divorziando, la cinica che “è tutto inutile e tanto vale scopare in giro”, la depressa e la giovane isterica che “è tutta colpa della madre”…“a parte la “bigotta”…in tutte le altre, c’era qualcosa, in cui riconoscermi. La notte sogno di stare a una festa. C’è mia madre ed io le urlo con tutta la rabbia possibile che è colpa sua, che è tutta colpa sua, perché non mi ha mai voluto vedere”. M quindi si sofferma sul “non vedere”della madre, che la rimprovera di “tener chiusa la porta agli altri” come del resto, dice M, fa anche il T.
Per cogliere i livelli di emergenza del significato in questo frammento di interazione o in qualunque altro frammento di qualunque terapia, si deve osservare che esso può essere contestualizzato sia dal punto di vista sincronico, determinando i livelli di significato sincronici al contesto attuale, sia dal punto di vista diacronico. Non è diffficile distinguere i due campi di significati. I livelli sincronici di significato riguardano l’emergenza del significato di una singola frase dell’interazione nel qui e ora della seduta, mentre i livelli diacronici riguardano lo storia complessiva dell’interazione. I livelli “sincronici” di significato riguardano sempre la narrazione qui e ora, ma le narrazioni “qui e ora” costruiscono una storia e dunque i significati diacronici riguardano un altro tipo di narrazione e cioè la narrazione della storia costruita dalle narrazioni nel qui e ora. Occorre però considerare che i livelli diacronici agiscono continuamente anche a riguardo dell’emergenza del significato a livello sincronico.
“Sincronico” e “diacronico” sono specificazioni astratte: Concretamente, per sincronico si puòsemplicemente intendere: punto di vista della frase; per diacronico: punto di vista della storia.
3. LIVELLI SINCRONICI DI SIGNIFICATO
Procedendo dal più semplice al più complesso si possono individuare quattro livelli sincronici di significato che si possono contraddistinguere come conversazionale, tecnico-clinico, soggettuale molare e soggettuale molecolare.
3.1 Livello Conversazionale.
Nella vignetta terapeutica viene riferito un evento, si parla di uno spettacolo teatrale e viene raccontato un sogno, che introduce delle comunicazioni relative al rapporto con la madre e ai problemi relazionali di M. Al livello più elementare, tutto ciòmnon si differenzia da una “conversazione” tra due soggetti, anche se si tratta di una conversazione impegnata, intima, senza limiti precisi a riguardo dell’apertura, dell’estensione e della profondità è, anzi, una conversazione che esclude attivamente tali limiti (setting). A questo livello elementare, il significato emerge come in una qualunque conversazione tra soggetti, in cui la normale competenza linguistica assicura una comprensione di massima e la possibilità di correggere equivoci ed errori di comprensione.
La comprensione, a questo livello, è funzione della reciproca capacità di capire il “significato degli asserti” e, concretamente, quindi, della competenza linguistica dei due parlanti, che, in concreto, dipende:
- da un dizionario denotativo, relativamente, comune;
- da una congruenza nella disposizione connotativa di base, e, dunque dalla condivisione dei contesti basilari (famiglia, asilo, lingua madre, elementari, scuola di base, gruppi giovanili, lavoro…) e delle esperienze fondamentali (esperienza di figlio, fratello, scolaro, amico, studente, cittadino…)
- da una relativa assenza di vincoli troppo generalizzati e rigidi, che possono restringere la comprensione a un punto di vista radicalmente limitante.
Una marcata discrepanza a uno qualunque di questi livelli, (diversa lingua madre, diversa nazione di appartenenza, troppo marcata differenza culturale, troppo marcata differenza sociale…), rende più probabile sia la comparsa di buchi neri nel processo di comprensione sia l’insorgenza di “equivoci” (non necessariamente espliciti), oltre a rendere più difficile la possibilità di correggere le incomprensioni. In particolare, l’azione di questi fattori potrebbe determinare, in connessione con la presenza di particolari strutture psicopatologiche, una configurazione rigida di vincoli tale da restringere, in modo assai limitante, la comprensione sia del paziente sia, per motivi di ordine differente, anche del terapista.
3.2 Livello Tecnico-clinico
Nell’interazione tra M e T, però, il significato, pur poggiando sulla comprensione linguistica, non si limita a quest’ultima, ma riguarda, piuttosto, la comprensione degli asserti nel contesto della cura e, dunque, la loro comprensione, in rapporto agli scopi, ai ruoli e alle differenti competenze e conoscenze specifiche dei due attori. In questo caso, l’errore a riguardo del treno, il sogno, le comunicazioni attinenti alla madre hanno un significato che è funzione della relazione di questi elementi con un qualche aspetto, elemento o implicazione del problema di M, letto a partire da un quadro di conoscenze teoriche e tecniche; mentre per M il significato è funzione del rapporto tra queste comunicazioni e il raggiungimento degli obiettivi della cura a partire dal quadro delle conoscenze e aspettative di M.
Il significato dell’errore nella direzione del treno, della comunicazione riguardo allo stare male, del sogno, degli asserti riguardo alla madre, emerge (per T) dalla sua competenza e, in concreto, dalla sua galleria d’interpretanti, mentre la sua affidabilità dipende dalla ricchezza e precisione della sua enciclopedia d’interpretanti e, dunque, dalla sua preparazione teorica e tecnica, dalla precisione e solidità delle sue teorie e dall’operatività delle sue conoscenze tecniche. (Per le nozioni di connotazione, di interpretante e di semiosi illimitata cfr. Sul significato IV, in questo blog). Per il P, invece, il significato emerge, primo e per sé, dalla sua valutazione e comprensione degli asserti e comportamenti, sia propri sia di T, rispetto alle sue teorie e aspettative riguardo alla cura e dalla chiarezza della distinzione dei ruoli e dei rispettivi diritti e doveri, (che dovrebbero essere garantiti dalla chiarezza e stabilità del setting).
A questo livello, dunque, “significato” non è il semplice significato linguistico di un asserto, ma la sua relazione o implicazione riguardo a qualcuno degli aspetti connessi al problema da risolvere. Così un asserto di P, il cui significato linguistico potrebbe essere: “Ho il sospetto che Mario ce l’abbia con me”, acquisterebbe il suo ulteriore significato in ragione della rilevanza dell’asserto a riguardo di una possibile caratteristica paranoica di P. Almeno teoricamente, questo secondo livello di significato èpresente in ogni asserto di P e di T e riguarda, dunque, il significato di un sogno, di un sintomo, di un collegamento, di un’azione, di un tratto di carattere, di un’abitudine, di un lapsus, di una scelta, di un’organizzazione di vita…Nel caso dell’errore del treno, il significato emerge dalle triangolazioni che il T opera a partire dalle sue teorie psicopatologiche e cliniche, che considereranno l’errore di M come un sintomo, per esempio, come una fuga difensiva.
Questo secondo ordine di significati, che è specifico della conversazione terapeutica, in quanto interazione terapeutica, clinica e professionale, non è intrinseco all’asserto, ma emerge, nel caso di T, in ragione di un “interpretante”, tratto dalle conoscenze teoriche e cliniche del terapista, che elicita un ulteriore livello di senso, inserendo l’asserto di P in un contesto teorico-tecnico. Nel caso di Maria, invece, l’interpretante è tratto dalle sue teorie, esplicite o implicite, riguardo all’intelligenza del suo problema e alla sua concezione (con le conseguenti aspettative) riguardo alla cura. Una certa classe d’interpretanti, spesso del tutto impliciti, utilizzati da P, sono, come vedremo, in genere, di natura assai differente rispetto a quelli utilizzati da T.
3.3 Livello soggettuale (tradizionalmente dell’intenzionalità inconscia)
M, viaggiando verso Civitavecchia, invece che verso lo studio del dottore, compie un’azione, che contraddice le sue intenzioni esplicite, quando se ne accorge piange, si rende conto di stare male e telefona al terapista. Successivamente, in seduta, connette oscuramente quest’azione alla rappresentazione teatrale e al sogno e tutti questi elementi al suo star male, coinvolgendo sia la madre sia il terapista.
In questa serie di narrazioni, comportamenti e vissuti, emerge un terzo livello di significato, che corrisponde a quello tradizionalmente indicato come “significato inconscio”, che, nella concezione classica, si configurava come un “motivo” inconsapevole, determinato da un desiderio o fantasia di desiderio (o di difesa) ed era spiegato teoricamente e utilizzato clinicamente, come transfert, difesa e resistenza. La teoria classica e le sue varie declinazioni poggiano, infatti, sul presupposto di un’intenzionalità inconscia e inferiscono che alla radice di una azione, comunicazione o comportamento, intenzionalmente inconsapevoli, ci sia una “teoria”, una “fantasia” o uno “scopo”, in qualche modo, inconsci e non dichiarati, che sono da considerare la “causa” del comportamento in esame. Questa spiegazione ci è così familiare, da essere considerata ovvia o scontata, tanto che è difficile rendersi conto delle sue difficoltà logiche, delle sue implicazioni mentalistiche e oggettualistiche e della ingiustificata pre-assunzione linguistica, che essa inevitabilmente attribuisce alle nozioni di desiderio e di fantasia inconscia.
Le ragioni che inducono a considerare inaccettabile questa concezione dell’intenzionalità inconscia e i concetti sottostanti di desiderio, fantasia e scopo inconsci, sono stati esposti più volte altrove e non conta tornarci (cfr. Scano, 2015). Il fatto, però, che questa spiegazione sia da rifiutare, in quanto implica l’intera impalcatura metapsicologica, non significa tuttavia negare realtàe importanza al campo di significati tradizionalmente indicati sotto il cartello dell’intenzionalità inconscia. E’venuta meno la spiegazione, ma resta il problema. Si tratta semplicemente di trovare spiegazioni logicamente coerenti e congetture più accettabili a riguardo dei processi che inducono Maria ad andare verso Civitavecchia invece che allo studio di T.
Questo livello di significazione “inconscia” può essere inteso e spiegato, più semplicemente, come un caso particolare del processo di semiosi illimitata a partire da una classe d’interpretanti, determinati dalle connotazioni idiosincratiche di un singolo soggetto, che risultano fissate e indotte da una codifica personale e singolare delle sue esperienze pregresse. Tale campo non deve necessariamente essere concepito come un “deposito” prefissato, precostituito, e deliberatamente precluso, rimosso o scisso in una qualche segreta della mente, ma piuttosto come “emergente” nel consueto processo di significazione, a causa dell’attivazione di una classe particolare di “interpretanti”. Si può dare un nome preciso a queste “connotazioni idiosincratiche del soggetto: sono i suoi vincoli. Possiamo, dunque, indicare un terzo livello di emergenza del significato, (corrispondente alla tradizionale “intenzionalitàinconscia”), in cui il significato emerge per l’azione di quella particolare classe di interpretanti costituita dai vincoli e dalla rete dei vincoli del soggetto. A questo livello, il significato, in senso stretto, è l’emozione vincolata allo stimolo in entrata che determina un’azione o preclude un’azione; in senso più allargato, è lo schema anticipatorio emozione-azione.
Utilizziamo il termine “vincolo” per indicare qualunque nesso fisso, stabile e persistente nel tempo che si crea tra un elemento somatico-valoriale (dolore, piacere, emozione, emozione derivata, sentimento) e un elemento simbolico-rappresentazionale (immagine, simbolo, configurazione, idea...). Tale nesso, una volta stabilito e fissato, limita il ventaglio delle azioni possibili del soggetto o può anche prescrivere o inibire una sua specifica azione. Assumiamo, dunque, che il vissuto delle emozioni, del dolore e del piacere porti alla costruzione di schemi anticipatori di emozione-azione, somaticamente marcati, che hanno struttura scenico-narrativa, (che può essere verbalizzata, ma che, per lo più, è non verbalizzata e non verbalizzabile) e tendono a fissarsi come dei silenziosi attrattori. In breve, il “vincolo” è uno schema fisso anticipatorio di emozione-azione, che in virtù della marcatura emozionale, limita il ventaglio delle azioni possibili e anzi, spesso, prescrive una risposta o la inibisce, ponendosi anche come un attrattore. Tali schemi incidono profondamente nell’ambito del sentimento del me e tendono a modellare, tramite la forza della previsione emozionale, dei ventagli di possibilitàlimitata nell’organizzazione del vissuto e della competenza intenzionale, relazionale e comportamentale del soggetto.
Un vincolo si colloca nel contesto della rete dei vincoli, nel senso che i vincoli piùbassi, restringendo il ventaglio delle scelte o prescrivendo una scelta, determinano, con la limitazione delle azioni possibili, quelli più alti. Ciò significa che un vincolo superficiale, che risulta fenomenologicamente rilevante, dovrebbe essere compreso come determinato dalla rete dei vincoli più bassi, nel senso che sarebbe, in un certo senso, una “conseguenza di”. In questa stratigrafia di vincoli si puòdistinguere un livello “molare” da un livello “molecolare” che sottendono anche due differenti livelli di emergenza del significato che possiamo indicare come soggettuale molare il primo e come soggettuale molecolare, il secondo.
3.3.1. Livello soggettuale molare
Nel caso di Maria che prende il treno verso Civitavecchia, abbiamo a che fare con un comportamento complesso che ha un’evidente e osservabile trama scenico-narrativa e un’configurazione, appunto, molare. Molti comportamenti tradizionelmente intesi come transferali o difensivi e così pure i lapsus, gli atti mancati, molti “agiti” e persino i sintomi sembrano potersi raggruppare in una classe caratterizzata dall’azione di vincoli strutturati e facilmente osservabili, che manifestano una palpabile trama narrativa. Questa classe particolare di vincoli sono in genere molto alti nella scala gerarchica e per questo superficiali, circoscritti e analizzabili in virtù della loro trama narrativa e della connessione reiterata con una azione e con delle concrete conseguenze osservabili. E’ proprio questa struttura narrativa ad aver nutrito la concezione tradizionale dell’intenzionalità inconscia perché, anzitutto, in questi casi un’intenzione o scopo è facilmente deducile dall’intera sequenza molare e, in secondo luogo, l’attribuzione di intenzionalità è la regola routinaria cui ci affidiamo nella valutazione delle nostre interazioni quotidiane (Scano, 2015). Maria, ad esempio, analizzando la sua involontaria scelta del treno, che la porta lontano dallo studio del terapista, troverà che alla radice dell’errore c’era l’intenzione di fuggire dalla seduta. L’intenzione narrativamente inferita potrebbe essere anche del tutto ragionevole dal punto di vista del significato, ma questa ragionevolezza, tuttavia, non può giustificare l’asserto secondo cui essa è anche da ritenere la causa di quel comportamento.
Tutti i vincoli, a prescindere dalla loro posizione alta o bassa, tendono a funzionare come attrattori e, quindi il nesso tra rappresentazione-emozione-azione può essere traslato per via logica analogica o metaforica e, in tal modo può promuovere un vissuto, una modificazione inconsapevole o anche consapevole dello stato emotivo, che si esprime poi in un’azione o in una reazione. Talvolta il nesso tra “significato” e azione può essere consapevole, (o può essere nel corso del lavoro analitico, diventato consapevole) e, in questi casi, il soggetto sarà in grado anche di esprimere e motivare l’eventuale percezione del vissuto o l’azione mediante una spiegazione o mediante un ricordo o una generalizzazione. Altre volte il nesso non è consapevole, ma è espresso tramite indizi, in qualche modo, percepibili da T. Altre volte, infine, il nesso è del tutto inconsapevole e non verbalizzabile, in questi casi, l’eventuale azione, reazione o emozione apparirà “incongrua” e magari irrealistica.
3.3.2. Livello soggettuale molecolare
L’indagine del livello soggettuale del significato implica l’attestarsi su di un punto di vista intra-soggettivo. Si tratta, infatti, di una connotazione e di un senso strettamente pertinente alla storia e al racconto specifico di un soggetto. Nel frammento di caso clinico appena citato, il significato che muove il malessere di M ha peròanche una valenza intersoggettiva che coinvolge sia la madre che il terapista. - In secondo luogo, tale connotazione non nasce nel vuoto, ma in risposta all’azione di T, che, di fatto, senza saperlo, si ècollocato\ècollocato in un ruolo e recita una “scena”, in cui si trova, suo malgrado, a “colpevolizzare” M, svolgendo, agli occhi di M, lo stesso ruolo della madre .
Questa sostanza intersoggettiva non caratterizza soltanto l’azione dei vincoli strutturati e alti nella gerarchia, che, in virtù della loro valenza scenico-narrativa, possono anche avere rilevanza linguistica, ma anche quelli piùbassi, che non hanno valenza linguistica e narrativa e cui ci riferiamo con l’aggettivo molecolare.
Questo ulteriore livello di emergenza del significato (quarto livello) travalica l’ambito linguistico, perché la sua modulazione e costruzione non avviene nel “discorso” e non soggiace, quindi, alle regole di costruzione proprie della lingua; non è cioè delimitato e costruito con le regole grammaticali e sintattiche, ma a partire da un altro e differente set o complesso di regole, del tutto indipendente dalle regole del discorso.
Questo set di regole non combina suoni o lettere in rapporto ad un referente, rappresentato in maniera simbolica da un segno linguistico o iconico, ma combina le emozioni e i sentimenti e regola la combinazione tra le emozioni e i sentimenti con eventi relazionali, previsioni e valutazioni di eventi relazionali, sulla base di un “peso” e di una “marcatura”, che si sono auto-organizzati nel corso della storia delle sue interazioni.
La “grammatica”di questa lingua emozionale è essenzialmente biologica, non linguistica. Essa poggia, infatti, sull’automatismo dell’attribuzione di significato elementare costituito dalle emozioni primarie, che connotano secondo regole biologiche, fissate dall’evoluzione, i valori primari e situazionali del piacere, del dolore, della paura, della rabbia e del disgusto. La connessione tra la risposta emozionale “dolore” o “disgusto”, in risposta ad uno stimolo doloroso o disgustante, non èarbitraria, (come nella lingua il nesso tra simbolo e significato), ma stabilita dalle regole biologiche del corpo.
La “sintassi”, che regola, invece, la costruzione delle frasi di questa “lingua emozionale”, è composta dalle regole, che governano la declinazione del linguaggio emozionale nell’ambito del rapporto tra il singolo individuo e gli altri membri a lui prossimi della specie. Tali regole coordinano la grammatica biologico-emozionale del soggetto con la corrispettiva dinamica emozionale degli altri soggetti nell’ambito, tuttavia, di trame relazionali determinate dalla struttura elementare della socialità umana, preformata dalla biologia sociale della specie, ma formattata nella cultura complessiva, in cui si svolgono le interazioni specifiche di quel soggetto. La grammatica e sintassi di questa lingua emozionale determinano, cioè, la concreta semantica soggettivo-intersoggettiva del singolo soggetto, nella giunzione tra l’organismo “biologico” e l’intersoggettività bio-socio-culturale, mediata dalle concrete realizzazioni di tale intersoggettività nell’effettiva grammatica e sintassi emozionale dei soggetti adulti rispondenti. Tale semantica individuale si struttura, infatti, nella totalità delle interazioni del cucciolo umano con gli adulti del suo contesto di accoglimento, sino a costruire la competenza relazionale\emozionale di quel soggetto.
In queste interazioni è possibile, credo, individuare delle unità elementari, che sono, per così dire, le molecole dell’interazione intersoggettiva o le “note” elementari della musica dell’esperire intersoggettivo, il cui valore o peso di base, in partenza, è dato dalla connessione originaria con le emozioni primarie e dunque da un “peso”, che, all’origine, è organismicamente determinato.
Un’ipotesi ragionevole è che i due domini, molare e molecolare, pur nascendo dallo stesso terreno e sulla base dei medesimi meccanismi, siano, in qualche modo alternativi, soprattutto in quei casi, in cui il “peso” e la valutazione degli snodi intersoggettivi hanno, per lo più, un valore negativo tanto da costituire il problema più difficilmente superabile nell’ambito dell’interazione terapeutica. Intendo dire che nelle persone, che hanno una sufficiente ricchezza e varietà nell’attribuzione del significato agli snodi elementari dell’interazione, sarà meno probabile trovare dei “blocchi” di “resistenza muta”, dovuta ai significati del livello soggettuale molecolare. Essi presenteranno, più facilmente, una scorrevolezza emotiva, che consentiràloro una sufficiente flessibilità, nelle associazioni emozionali e ideative e, dunque, una maggiore capacità espressiva, sia nella narrazione sia nella significazione per analogia e metafora. Gli eventuali problemi saranno, quindi, più circoscritti e, per quanto nascosti o sconosciuti nel significato specifico, saranno, in qualche modo, presenti nella narrazione complessiva o, proprio a causa dell’eccezionalità del loro presentarsi, essi si delimiteranno, quasi da sé, nel fluire della narrazione. In questi casi, questo livello di emergenza del significato non emerge cioè come problema, se non eccezionalmente. Assai diversa è invece la situazione nei casi, in cui è proprio questo problema a emergere come preponderante nell’interazione terapeutica. Io credo che ciò accada con quei pazienti
- che “non parlano”o che hanno una rigidità e povertà ideativa, sia straparlino sia che non parlino;
- che non si fanno “toccare emozionalmente”;
- che hanno una tastiera emozionale povera e monocorde;
- che hanno una introspezione elementare non dovuta ai limiti culturali;
- che presentano una prevalenza di pensiero concreto e riferimenti prevalenti alla realtà concreta esterna;
- che hanno una capacità di connotazione rigida e limitata per cosìdire ai “colori”emotivi essenzialmente primari;
- che hanno una corazza apparentemente razionalizzante, che maschera una continua disattivazione dell’emozione corporea.