* Testo presentatp nel gennaio 2016 al Laboratorio di Verona per introdurre lo studio/ricerca sul vincolo e il significato.

 

Il termine “vincolo”, deriva dal latino “vinculum” (da vincire = legare) e denota ciò che lega o serve a legare qualcosa o qualcuno. Indica dunque laccio, legame e, per estensione, condizione che lega o condizione legata. Nel suo campo semantico si possono distinguere due nodi di aggregazione di significato: il primo attiene all’azione stessa del legare e, quindi, indica il fermare, fissare, incatenare immobilizzare qualcuno o qualcosa con qualche tipo di legame o impedimento; il secondo attiene alle conseguenze del legame per il qualcosa o il qualcuno che è stato legato e sta, dunque, per un impedimento, un limite, un blocco o una qualche costrizione.
In senso figurato, vincolo indica legami di natura affettiva, morale, sociale e, in questo senso, l’esistenza del “legame” stabilisce limiti, prescrizioni e aspettative a riguardo dell’azione del soggetto, ma anche doveri e diritti per i soggetti legati dal vincolo. In senso ancora allargato “vincolo” implica un elemento di costrizione (natura insofferente di vincoli) sino alla dipendenza o alla schiavitù morale (i vincoli della dipendenza o del vizio).
In diritto, vincolo si riferisce alla limitazione o alla soggezione di una persona in quanto titolare di una situazione cui fa riscontro un diritto soggettivo altrui o anche la limitazione del diritto di proprietà su un bene (v. di indisponibilità; v. dotale, ecc). In urbanistica e in architettura, riguarda limitazioni e prescrizioni che regolano e limitano la libertà d’azione a riguardo di interventi su beni di interesse storico e artistico (vincolo monumentale) o in contesti considerati “bellezze naturali”( v. paesaggistico).
In meccanica, denota qualsiasi limitazione alla libertà di movimento di un corpo; ne sono esempî comuni: il piano su cui è poggiato un corpo (che ne impedisce la caduta verso il basso), un filo non estensibile, che impedisce a un corpo di allontanarsi dal suo punto di sospensione, le cerniere cilindriche attorno a cui è costretta a ruotare una porta e che ne fissano quindi l’asse di rotazione. Ogni vincolo esercita sul corpo vincolato una forza, detta reazione vincolare, che ne impedisce lo spostamento ed è diretta in senso opposto a quello in cui lo spostamento viene impedito.
In psicologia il termine “vincolo”, per quanto sicuramente utilizzato nel suo significato corrente, non è stato mai operativamente definito e concettualizzato. Ciò non significa, tuttavia, che nell’armamentario concettuale della psicoanalisi, non ci siano dei concetti che in qualche modo insistono su un significato assai prossimo e che potrebbero quindi essere considerati degli antecedenti (per esempio quelli di fissazione, di falso nesso e quello rapaportiano di struttura e, sopratutto, di micro-struttura).
Partiamo da una prima descrizione o definizione molto generica. Utilizziamo il termine “vincolo” per indicare qualunque nesso fisso, stabile e persistente nel tempo che si crea tra un elemento somatico-valoriale (dolore, piacere, emozione, emozione derivata, sentimento) e un elemento simbolico-rappresentazionale (immagine, simbolo, configurazione, idea...). Tale nesso, una volta stabilito e fissato, limita il ventaglio delle azioni possibili del soggetto o può anche prescrivere o inibire una sua specifica azione.
Per cominciare a precisare questa definizione generica e giungere a una descrizione più ravvicinata del vincolo, è necessario analizzare più accuratamente i due elementi collegati dal nesso, indicando, quindi, con maggior precisione che cosa siano i due elementi “somatico-valoriale” e “simbolico-rappresentazionale”, che costituiscomno il nesso descritto dalla definizione provvisoria.

 

  1. “Elemento somatico-valoriale” sta per un qualunque evento corporeo che, per il suo valore edonico positivo o negativo, può fungere da marcatura qualificante in grado, dunque, di muovere una motivazione e favorire o sfavorire una certa azione. Si tratta essenzialmente delle sensazioni della diade piacere-dolore e delle cosidette emozioni primarie, da cui, con lo sviluppo, si specificheranno quelle secondarie sino ai sentimenti. Tali eventi corporei hanno un ruolo essenziale nella regolazione organismica e nel processo di attribuzione del significato. Come risulta dalla ricerca neuroscientifica degli ultimi decenni, l’emozione è, infatti, l’elemento motore del processo d’attribuzione di significato e si pone, anzi, come il processo attraverso cui il cervello computa e determina il valore di uno stimolo (Le Doux, 2002). Utilizzando la tastiera qualitativa e tonale delle emozioni primarie e della gamma piacere-dolore, il cervello codifica a partire dal corpo, il significato di un pattern d’attività cerebrale, che si embrica con i percorsi culturali e sociali dell’emozione, giungendo a regolare la totalità della mente del corpo nella rete complessa delle scene, situazioni e storie. Grazie a questa marcatura edonica, ciò che accade nel corpo funziona come notizia per il cervello, che potrà classificare le situazioni come pericolose, allettanti o neutre. Il cervello si è evoluto, studiando e costruendo il mondo attraverso le proprie modificazioni e, da questo punto di vista, emozioni e sentimenti sono parte essenziale della cognizione e funzionano come un sistema basico di regolazione. In questa ottica, insieme al piacere\dolore, le emozioni “primarie” (rabbia, paura, tristezza, gioia, sorpresa, disgusto,) e successivamente le emozioni derivate o secondarie (allegria, ansia, vergogna, gelosia, invidia, speranza, rimorso\senso di colpa, rassegnazione, perdono, offesa, delusione, disprezzo) e i sentimenti sono i parametri attraverso cui l’organismo attribuisce il significato. Stabilire il modo in cui si forma tale significato, descriverne le configurazioni fondamentali e tipiche e spiegare il modo in cui si costruiscono le regole, che governano la selezione vincolata degli input e delle risposte, potrebbe essere il compito fondamentale di una teoria clinica e, comunque, è il compito che ci siamo, almeno provvisoriamente, dati in questi nostri incontri di studio.
  2. Simbolo\rappresentazione.Meno semplice è descrivere il secondo elemento coinvolto nel nesso, quello che ho indicato, un po alla svelta, come simbolico-rappresentazionale e che supponiamo legarsi nel nesso all’elemento somatico-valoriale. Forse il modo più immediato seppure generico, per indicarlo è quello di utilizzare il semplice termine di “ricordo”, inteso, però, nel senso ampio e più generale di un evento del vissuto che ha lasciato una memoria consapevole o inconsapevole e può essere riattivata da uno stimolo “esterno” o “interno”. Lo stimolo può essere percettivo, (un oggetto, l’immagine (grafica, fotografica, immagimaria...) di un oggetto, un odore, un colore, il timbro di una voce, una parola o una frase detta, udita o letta, il tono di una voce.....), simbolico (il simbolo percepito di qualcosa, che è stata antecedentemente percepita o esperita), onirico (un sogno, il ricordo di un sogno, il racconto di un sogno), pensato, immaginato. Può essere semplice e diretto come in tutti i casi precedenti, o complesso e articolato (una scena, una situazione, un ambiente, un compito, un dovere, un ordine, un’aspettativa, un’attesa...). Può essere qualcosa che sta avvenendo qui e ora, qualcosa che avverrà, qualcosa che forse accadrà o che sicuramente accadrà o che temo possa accadere. In ogni caso si tratta di un evento che interviene nel flusso dei vissuti e che, direttamente o indirettamente, ha o può trovare un antecedente (reale o metaforico) nel vissuto pregresso.

 

Ognuno di questi eventi, che intervengono nel flusso dei vissuti, può avere e in genere ha una qualità valoriale sua propria, positiva o negativa, di un qualche livello in una scala variabile non generalizzabile in assoluto: una puntura di spillo è certo dolorosa in sé e tale risulterà per tutte le Marie e i Giacomi, ma il sapore di un frutto o di un alimento o il caldo e il freddo hanno più facilmente aspetti idiosincratici nel livello e nella soglia di piacevolezza o di spiacevolezza. Al di là, tuttavia, della qualità valoriale in sé, ogni evento si inserisce in una storia, in cui le esperienze precedenti concorrono a determinare la qualita valoriale che le attribuirà Maria o Giacomo. Per comprendere, dunque, il significato del vincolo è necessario disporsi in una prospettiva storico-evolutiva in cui occorre tener conto di una tastiera tonale di base relativamente fissa, ma suscettibile di differenze individuali anche notevoli – si pensi alle differenze tra due neonati che abbiano una curva degli zuccheri l’uno ripida e l’altro dolce - e di una sequenza di eventi che invece possono accadere o non accadere. In questa sequenza occorrerà, però, tener conto anche di un altro elemento essenziale. Ogni organismo umano, ogni neonato della specie homo, nasce e può sopravvivere soltanto in un contesto relazionale per cui la sequenza degli eventi avviene sempre in un contesto intersoggettivo e anche la taratura della tastiera e, dunque, l’attribuzione di valore avverrà in un contesto intersoggettivo e culturale.
Nel quadro di uno spazio così delimitato, si può descrivere, in modo più preciso, la nozione di vincolo. Il sistema delle emozioni, momento per momento, in base alla scansione degli oggetti, degli eventi e delle configurazioni relazionali e in base al feedback degli schemi di azione (in entrata e in uscita), attribuisce senso, sulla base della sua enciclopedia codificata, sia ai pattern percettivi in entrata che ai risultati dell’azione, in uscita. Questa processazione in sequenze di valutazione-previsione, in ragione di un significato corporeo, solo riduttivamente può essere detta inconsapevole, essa costituisce, infatti, il nostro meccanismo organismico-processuale di guida nella costruzione del mondo e del me nel mondo e la matrice da cui emergono le effettive intenzioni sia quelle che sono consapevolmente dette o dicibili, sia quelle non dette o non dicibili, che innervano silenziosamente il comportamento e le azioni.
La marcatura emozionale attiva un’anticipazione dell’emozione, anzi, probabilmente una emozione come-se e in tal modo avvia la risposta di avvicinamento, allontanamento o cautela in qualunque ambito motivazionale ponendosi come il meccanismo elementare di formazione delle motivazioni e, dunque, delle intenzioni. Un tale dispositivo allarga l’utilizzabilità del meccanismo biologico dell’emozione, dall’ambito originario della sopravvivenza, all’ambiente antropizzato, culturale, sociale e relazionale. L’ipotesi è che il vissuto delle emozioni, del dolore e del piacere porti alla costruzione di schemi anticipatori di emozione-azione, somaticamente marcati, che hanno struttura scenico-narrativa non verbalizzata e non verbalizzabile e tendono a fissarsi come dei silenziosi attrattori. Questo è, dunque, più precisamente, ciò che intendiamo per “vincolo”: uno schema fisso anticipatorio di emozione-azione, che in virtù della marcatura emozionale, limita il ventaglio delle azioni possibili e anzi, spesso, prescrive una risposta o la inibisce, ponendosi anche come un attrattore. Tali schemi incidono profondamente nell’ambito del sentimento del me e tendono a modellare, tramite la forza della previsione emozionale, dei ventagli di possibilità limitata nell’organizzazione del vissuto e della competenza intenzionale, relazionale e comportamentale del soggetto. In questo senso ciò che siamo abituati a pensare come il profilo di personalità di un soggetto, come la sua struttura caratteriale o come la sua organizzazione interna potrebbe essere considerato il risultato e il frutto di una rete gerarchica di vincoli e di reti di vincoli. Da questo punto di vista, per esempio, la difesa potrebbe essere intesa come uno degli aspetti del funzionamento di questo meccanismo regolatore generale, che opera in gran parte a prescindere dalla consapevolezza, consistendo, in ultima analisi, nella strutturazione progressiva, in base all’esperienza (reale, fantastica o traslata), di specifici schemi di percezione-emozione-previsione-azione nell’ambito delle relazioni con soggetti, oggetti, situazioni e configurazioni relazionali. Un vincolo, in definitiva, è appunto uno schema stabile tra una percezione, un’emozione e un’azione.
Niente vieta d’intendere ogni marcatura di un pattern come un vincolo anche in considerazione del suo ruolo nell’avviare una risposta di avvicinamento, allontanamento o cautela. Non tutte le marcature sono però rigidamente vincolanti, sopratutto non lo sono nel caso delle marcature edoniche positive. Si può, perciò, più convenientemente, riservare questo termine a indicare, seppure nel contesto generale descritto da Damasio, non una semplice valutazione edonica negativa o positiva, ma una saldatura assai più rigida tra uno stimolo (esterno e\o interno), una marcatura emozionale e una prescrizione o divieto di azione a formare uno schema ripetitivo saldamente o relativamente fisso e talvolta persino coatto. Da questo punto di vista la costante scansione degli oggetti, degli eventi e delle configurazioni relazionali e la marcatura dei feedback degli schemi di azione, potrebbe rendere conto del paesaggio complessivo delle azioni di Maria, delle sue preferenze, attitudini e abitudini nel ventaglio delle sue scelte, le situazioni che vive come piacevoli e quelle che considera invece spiacevoli e possibilmente da evitare. I vincoli di Maria sarebbero, invece, come dei veri e propri sensi vietati o dei sensi unici caratterizzati anche da un livello più o meno alto di coazione, che limitano l’azione di Maria al di là del ventaglio variegato delle sue preferenze, in cui mantiene una relativa libertà di scelta o di controllo.

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