Scorrendo la letteratura psicoanalitica ci s’inbatte frequentemente in un mucchietto  di concetti che, pur eterogenei tra loro e riferiti ad ambiti teorici e a periodi storici differenti, mostrano, tuttavia, un'indefinita\indefinibile parentela. Una breve lista non esaustiva potrebbe elencare: “comunicazione inconscia”, “percezione inconscia”, “capacità (dell’analista) di leggere l’inconscio”, “apparato per pensare i pensieri”, “esperienza emozionale correttiva”, “nuova esperienza emozionale”, “empatia”, “identificazione proiettiva”, “sintonizzazione emotiva”, “co-costruzione della realtà”, "costruzione intersoggettiva", “enactment”…

Disparati ed eterogenei si somigliano in un punto: allusivi, sfuggenti, indefiniti e per nulla operativi, evocano profondi processi misteriosi. A dispetto della loro vaghezza nascono dalla pratica clinica, da cui traggono indiscussa fortuna. E’ ai clinici, infatti, che essi appaiono profondi e concreti, capaci di esprimere un livello essenziale dell’esperienza, che sfugge allo sguardo freddo delle teorie. Si potrebbe dire, forse, che ai loro occhi essi rivelino una “faccia nascosta della luna”, una faccia nascosta della psicoterapia, inesprimibile o inespressa delle teorie.

Questi concetti condividono, però, anche una più concreta caratteristica: si riferiscono tutti ad un qualche tipo di transazione, scambio o interazione tra soggetti anche se, spesso, in modo indefinibile e\o indefinito o persino contemporaneamente affermato e negato come nel caso dell’ identificazione proiettiva.

Una facile congettura è che tali formulazioni allusive diano voce a uno spazio poco accessibile alle teorie correnti proprio a causa di questo rinvio alla transazione e allo scambio. Nata con un profondo imprinting naturalistico, la psicoanalisi tende, infatti, a spiegare il vissuto e l’azione tramite i meccanismi interni di un oggetto osservato, sia quando si pone come teoria dell’apparato sia quando si pone come teoria del mondo interno. Da questo punto di vista, le formulazioni allusive colmerebbero una lacuna del punto di vista, incapace di cogliere la faccia nascosta della luna, dando voce alla necessità di chiamare in causa  agenti  o fattori sconosciuti alle teorie tradizionali.  

Ci sono altri due ambiti, di cui uno del tutto estraneo e, il secondo, tradizionalmente in una posizione spuria rispetto alla psicoanalisi, che sembrano poter fare riferimento allo stesso ambito inafferrabile di fattori. Si tratta del placebo e della suggestione.

Il primo è stato una vera maledizione per la ricerca in psicoterapia in quanto è impossibile identificare un  placebo per la psicoterapia, ma sta diventando una croce anche per quella neuropsicofarmacologica. Qualche tempo fa Marco Casonato notava che “…il placebo farmacologico in psichiatria non riesce ad essere neutro neppure negli studi effettuati in doppio cieco” e, soprattutto che “…l’effetto placebo risulta imbarazzante per la sua efficacia paragonata a quella delle molecole con cui viene confrontato. Nel caso della depressione l’effetto placebo fornisce risposte un poco al di sopra del 30%, laddove i farmaci specifici si attestano su un modesto 40%”. Egli sotttolineava, infine, che “ciò che è peggio è che pare che l’effetto placebo stia aumentando nei soggetti anno per anno per ragioni ancora oscure”. E, dunque, quale sarà il principio attivo del placebo e che strana magia potrà mai agire nella somministrazione di uno zuccherino in un contesto clinico? Non sarà l’effetto di un nascosto, misterioso fattore attivo in tutte le situazioni di cura o, magari, persino in tutte le interazioni tra soggetti? Non si tratterà forse di qualcosa che abita la faccia nascosta della luna? Qualcosa che rivela una proprietà segreta dell’interazione, che, chissà, ha persino a che fare con la suggestione?

Freud escluse attivamente la suggestione dalla psicoanalisi, che contrappose alle pratiche terapeutiche suggestive. Gill, però, riconoscendo che nell’analisi è attiva una componente ineliminabile di suggestione, riteneva che essa debba essere analizzata e tale analisi farebbe la differenza tra la psicoanalisi e le terapie non psicoanalitiche. Ma è possibile analizzare una suggestione all’interno di una situazione suggestiva senza che l’analisi della suggestione diventi essa stessa una meta-suggestione? Setting, transfert, interpretazioni, analisi dei sogni non sono, forse, pratiche ritagliate nella materia sconosciuta di una irridente suggestione? Il “principio attivo del placebo” e il “principio attivo della psicoterapia” non potrebbero essere variazioni di questa “sostanza della suggestione”?

Forse, placebo e suggestione  rimandano anch’essi all’altra faccia della psicoterapia, come “comunicazione inconscia”, “capacità (dell’analista) di leggere l’inconscio”, “apparato per pensare i pensieri”, “esperienza emozionale correttiva”, “nuova esperienza emozionale”, “empatia”, “identificazione proiettiva”, “sintonizzazione emotiva”, “co-costruzione della realtà”, costruzione intersoggettiva, “enactment”.

Quando finalmente l’occhio neutro di una fotocamera riuscì a sbirciare per la prima volta la faccia nascosta della luna ci si avvide che essa, butterata e pietrosa, non differiva  da quella  intravista dal cannocchiale di Galileo, tanto inviso agli aristotelici. Per l’altra faccia della psicoterapia potrebbe non essere così. Magari tra le pieghe di quella faccia non vista potrebbe annidarsi la soluzione dell'enigma misterioso e inquietante del “verdetto di Dodo”, quello che stabilisce  che tutte corrono e tutte hanno diritto al premio perché tutte godono di pari efficacia. Magari nell’altra faccia delle psicoterapie non vige il semplice dominio delle leggi che regolano l’azione del soggetto, ma quello delle leggi che governano l’interazione tra soggetti.

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